04/10/15

Bancarelle scientifiche

Sabato 3 ottobre 2015, ho partecipato con la mia classe alla prima edizione delle Bancarelle Scientifiche della scuole tortonesi.
E' stata una bella vetrina delle scuole, del lavoro che si fa all'interno delle scuole. Un'occasione importante per trovarsi insieme, insegnanti alunni e genitori.
Un'occasione unica per far conoscere la Robotica educativa...
Per terra avevamo posizionato i nostri pannelli con i percorsi predisposti per BeeBot. I miei alunni sapevano perfettamente come muoversi e avrebbero fatto da tutor a coloro che avessero voluto provare per la prima volta. Io sorvegliavo la zona per dare suggerimenti e aiutarli a gestire le molte richieste.


E' stato importante osservarli, vedere come sapevano parlare ad altri bambini. Utilizzavano spesso il mio stesso metodo: mostravano i pulsanti, facevano un percorso e poi invitavano l'altro bambino a riprovarci; suggerivano strategie per non sbagliare, indicando la strada o spostando il robot per programmare passo passo.
Numerosi spunti di riflessione mi sono venuti dalle differenti  situazioni, soprattutto relativamente alla gestione dell'errore. 
Per un bambino piccolo è semplice provare, sbagliare e riprovare se si sente libero e non giudicato. Per lui è semplice raggiungere un obiettivo per prove ed errori ma ha bisogno di essere aiutato a pensare. Nel silenzio che si crea è lui stesso a trovare le sue risposte e a trovare la strada per raggiungere il suo obiettivo.
Tra tanti che hanno voluto provare, mi è rimasto vivo l'intervento di un bambino di 5 anni, che non aveva mai visto prima Bee bot. E' diventato presto un bravissimo tutor:  la sua mamma lo ha guardato da lontano, annuiva per dargli coraggio e lui guardava le mie mani e rifaceva esattamente ciò che io gli avevo mostrato. Senza aiuto è passato dal percorso più semplice a quello più complesso, in pochissimo tempo. Ed è rimasto ad aiutare altri bambini a capire... Una bella testa, una buona lateralità ma soprattutto un forte desiderio di mettersi alla prova.

Durante il pomeriggio molti papà hanno mostrato il loro entusismo in quest'attività: chi suggeriva, chi invitava a fare in modo differente, chi desiderava intervenire direttamente. Tra questi ricordo in particolare un papà  che ha pensato che il suo bambino non potesse fare senza di lui. Lo ha affiancato nella programmazione: se il bambino schiacciava il tasto sbagliato, lo interrompeva e rifaceva lui le operazioni corrette. Gli ha negato il tempo necessario per riflettere e il bambino ha deciso che il gioco non lo interessava, rifiutandosi di proseguire anche se altri bambini cercavano di convincerlo.

Penso a quante volte, mentre svolgiamo una lezione, non diamo fiducia ai nostri alunni; non crediamo che ce la possano fare, e spesso neghiamo loro il tempo per riflettere e capire, per provare e anche per sbagliare, proprio come ha fatto quel papà che pur era lì a giocare con il suo bambino.

Caso differente è stato per coloro che piccoli non sono più: alcuni liceali si sono avvicinati con curiosità, ma con la convinzione che fosse un gioco per bambini.
Hanno provato e sbagliato e si sono vergognati di non essere capaci. Mi domandavano come fosse possibile che loro che studiavano cose complicate non fossero subito in grado di compiere quei percorsi. Non avevano interiorizzato che prima di agire bisogna osservare, analizzare, comprendere. Non avevano compreso come fosse il giro a destra e a sinistra, pensandolo come uno scivolamento verso destra o sinistra dei nostri passi. La macchina (il robot) invece compie una operazione per volta; prima ruota su sè stessa e solo dopo può procedere. Si sentivano inadeguati e quasi si vergognavano. Si son fermati insieme ai bambini e hanno espresso la loro ammirazione per queste attività che "aiutano a pensare".
Anche una ragazzina della scuola secondaria di primo grado ha avuto il tempo di dirmi che si  vergognava vedendo i bimbi più piccoli fare giusto mentre lei sbagliava continuamente. E' stata coraggiosa, tenace ed ha provato e riprovato finchè ha terminato tutto il percorso. E' venuta a ringraziarmi e stringendole la mano le ho suggerito di ricordarsi in futuro di quest'esperienza.

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